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Lunedì, 15 Marzo 2010 01:00

Lotta al pizzo? Questione di cultura e dignità personale

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"Non mi sentivo ancora vile ed indegno quando assecondavo i miei estortori, ma è solo denunciandoli che ho finalmente capito di avere trovato la mia dignità come uomo". Le parole sono di Saro Barchitta, imprenditore nel campo della movimentazione terra nonché presidente dell'Associazione Antiracket di Scordia, che ha scelto di ribellarsi al ricatto estorsivo cui era sottoposto.


Barchitta ha parlato di fronte all'attenta platea dell'Istituto Superiore Polivalente G.Russo di Ramacca, nell'ambito del "progetto scuole" dell'Associazione Addiopizzo Catania, presente con il proprio presidente Rosario Lupo ed soci Chiara Barone e Lucia Fuccio Sanzà. Ad intervenire è anche l'Ispettore Cassisi della squadra mobile di Catania che spiega ai ragazzi la strategia mafiosa di richiesta dell'estorsione ed i metodi applicati dalle forze dell'ordine:

"L'organizzazione avvia la richiesta con un contatto solitamente telefonico,si invita la vittima a trovare un amico giusto che possa mediare con l'organizzazione, ridimensionando così l'esagerata richiesta iniziale. Ed è proprio in questa fase che diventa cruciale la denuncia da parte della vittima. Il fenomeno se stroncato sul nascere difficilmente porta alcuna ripercussione all'imprenditore, anche perché le pene sono così pesanti che l'organizzazione mafiosa non trova vantaggioso proseguire nelle proprie richieste e minacce di fronte ad un soggetto fermo nel proprio rifiuto. Questo vale pure per eventuali ripercussioni sulla famiglia dell'imprenditore, fenomeno quasi inesistente".

Barchitta ribalta il luogo comune della paura e della minaccia dell'associazione mafiosa: "Avere paura è naturale, ma i delinquenti e gli estortori spesso hanno più paura di noi. Da quando li ho denunciati nessuno si è più neppure avvicinato a me perché sanno che li mando in carcere, e questo vale anche per le nuove generazioni di mafiosi, ed il vantaggio è stato pure economico, risparmio migliaia di euro di assicurazioni e lavoro solo per me stesso".

I ragazzi di età compresa tra i 17 ed i 19 anni porgono una serie di domande, in particolare sui temi della ritorsione, della paura per la propria famiglia, dell'assenza dello stato. Su quest'ultimo rilievo è l'Ispettore Cassisi a rispondere: "Che lo stato abbandoni i commercianti a loro stessi è una bufala. Le leggi sono severe, esiste un fondo di solidarietà che ogni anno risarcisce milioni di euro ai commercianti taglieggiati che denunciano, si crea spesso un rapporto personale tra imprenditore e rappresentante delle forze dell'ordine. I corpi di polizia dedicati poi al contrasto del fenomeno sono poi composti da persone che si sono volontariamente assegnate al corpo pertanto altamente motivate."

Una riflessione finale coinvolge l'intera sala. I ragazzi condividono non solo l'idea di informarsi e di incuriosirsi al tema, ma anche di farsi portavoce e portatori sani di un messaggio di legalità, perché è solo contribuendo attivamente nel proprio piccolo, dedicando anche solo un'ora alla settimana alla lotta alla mafia che la nostra società potrà sperare di togliersi il cappio che da troppi anni soffoca la nostra economia. Molti ragazzi sottoscrivono inoltre il manifesto del consumo critico di Addiopizzo, impegnandosi così moralmente a preferire gli imprenditori che non pagano il pizzo nelle proprie scelte di acquisto secondo il motto "un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità".

La lotta alla Mafia, così come diceva il Giudice Paolo Borsellino "deve essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo".


Fonte: Blog Sicilia

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