Sabato, 14 Giugno 2014 11:46

«Mafia e politica sempre a braccetto»

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Forse non tutte le risposte ai tanti quesiti posti sono state date, ma non v'è dubbio alcuno che l'incontro organizzato da «Addiopizzo» a Palazzo della cultura abbia offerto spunti di riflessione, numerosi e certamente interessanti, sul fenomeno mafioso che da decenni soffoca lo sviluppo di questa terra. Del resto non avrebbe potuto essere altrimenti, visto che ad intrattenere una platea numerosa e che ha seguito tutti gli interventi con grande trasporto, c'erano tre magistrati di altissimo profilo quali Sebastiano Ardita (catanese, procuratore aggiunto a Messina dopo una brillante esperienza al Dap), Nino Di Matteo (palermitano, sostituto procuratore minacciato di morte dal boss sanguinario Totò Riina) e Nicola Gratteri (procuratore aggiunto a Reggio Calabria ma, come fra il serio e il faceto lo ha definito lo stesso Ardita, "ministro della Giustizia in pectore"), nonché il giornalista Saverio Lodato, che ha seguito per decenni le vicende della Procura di Palermo (e non soltanto...).

Introdotti da Rosario Lupo e ben moderati da Chiara Barone, entrambi di «Addiopizzo», i quattro hanno detto chiaramente la loro sul tema «Giustizia, riforma e antimafia», soffermandosi sugli intrecci perversi fra la mafia e la politica malata, quella che oggi, a differenza di ciò che accadeva venti o trent'anni fa, quando si verificava esattamente il contrario, va a cercare il capo clan per proporre appalti in cambio di pacchetti di voti.
«A Catania - spiega Ardita - tali intrecci si sono consolidati negli Anni Ottanta ed hanno permesso alla mafia di accumulare grandi ricchezze. Ciò con la complicità del potere politico per l'appunto, ma anche di quello economico, dell'informazione e, a suo tempo, di quello giudiziario: non dimentico che un giorno arrivarono 600 carabinieri da Torino per arrestare tre magistrati.... Adesso riscontro una voglia di crescita, guidata anche da quelle associazioni che a suo tempo si stringevano intorno al nostro mitico presidente Scidà, ma sempre nel ricordo di vittime come Pippo Fava, come l'ispettore Lizzio, come l'agente Bodenza. Nei primi due casi l'informazione provò a dare chiavi di lettura distorte: le donne per Fava, chissà cosa per Lizzio, che in quegli anni, ne sono testimone, convinceva le vittime del racket a denunciare con grande determinazione. Gente di valore, come il generale Dalla Chiesa, che ebbe la malsana idea di citare in un'intervista i cavalieri del lavoro di Catania e che anche per questo venne ucciso. Va portato avanti il loro esempio: non un impegno contro nessuno, ma per la verità e la giustizia a qualunque costo».
Non meno interessante l'intervento di Gratteri il quale ha auspicato, nel rispetto della Costituzione, la modifica dei codici: «Si devono portare l'associazione mafiosa, ma anche il 416 ter (rapporti fra mafia e politica, ndc) a pene pesanti quanto omicidio e droga. Ed evitare l'intasamento dibattimentale di quei reati "bagatellari" che poi andranno in prescrizione fra Appello e Cassazione. Così, fra l'altro, si potrebbero "recuperare" due sezioni della Suprema corte da destinare ai processi da seguire in Appello: con l'attuale sistema processuale siamo indietro di 30 anni».
«E poi le spese... - prosegue - perché non consegnare le ordinanze ai detenuti su supporti informatici con risparmio di carta e toner? E perché non eseguire le notifiche di fine indagine tramite Pec, piuttosto che impegnare carta e carabinieri come messi (il risparmio è di 12 milioni di euro)? Purtroppo la politica in questo caso è assente, così come sarebbe opportuna una svolta all'Agenzia dei beni confiscati, per evitare danni alle case sottratte alla mafia, ma anche la morte delle aziende sottratte a Cosa nostra».
Infine, dopo il più che applaudito intervento di Lodato, Di Matteo: «Noto una nuova coscienza nella lotta alla mafia, ma la politica continua a non fare la propria parte. Come accadeva ai tempi di Falcone e Borsellino, che non sempre furono rispettati per ciò che facevano con grande sacrificio, non ultimo quello della vita. Anzi, la situazione è peggiorata. Io capisco il garantismo, ma se un politico è stato sorpreso a più riprese con mafiosi, anche in assenza di condanna qualcosa dovrebbe accadere, magari proprio all'interno dei partiti. Invece oggi vediamo che, a fronte di una sentenza definitiva contro Dell'Utri, fra i fondatori di Forza Italia, che teneva i contatti con la mafia per conto dell'allora imprenditore Berlusconi, oggi non accade nulla di che. Anzi, ci sono personaggi vicini a Dell'Utri (il riferimento è al politico Berlusconi, ndc) che discutono di riformare la Costituzione».
«Eppure - è la chiusa di Di Matteo, prima degli interventi della platea - per me la politica non è tutta marcia. Io ho ricordi e visioni diverse. Come quella dell'allora segretario di minoranza della Commissione antimafia del 1976, Pio La Torre, il quale consegnò un dossier facendo i nomi di quelli che erano o stavano per diventare i padroni di Palermo. Arrivò prima della magistratura e delle forze dell'ordine: sarebbe bello che la politica di oggi prendesse esempio da ciò che fece quell'uomo».

 

Fonte: La Sicilia

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