Li hanno convinti a uscire allo scoperto, con un paziente lavoro che dura da anni e con la "forza tranquilla" di chi sa che i piccoli passi contano se possono valere da esempio, i giovani di Addiopizzo, una delle associazioni antiestorsione nate in Sicilia dopo l'assassinio dell'imprenditore Libero Grassi. "Attorno a questi primi 50 coraggiosi, che speriamo diventino molti di più, abbiamo costruito una rete", spiega Chiara Barone, 24 anni, prossima alla laurea in giurisprudenza, aspirante magistrato, "si chiama consumo critico: 4000 catanesi, residenti in città e in provincia, non soltanto giovani, ma anche madri di famiglia, pensionati, professionisti, contattati a uno a uno attraverso i nostri banchetti agli angoli delle strade, documenti alla mano, hanno messo per iscritto che saranno clienti solo di negozi e imprese 'pizzo-free'. Dichiarazioni di impegno che abbiamo fatto arrivare, in maniera ufficiale, in Prefettura. Un modo concreto per far si' che il commerciante che dichiara pubblicamente di non voler subire il racket non si senta isolato o danneggiato nella propria attività".
Non c'è velleità nelle parole di Chiara, aria da brava ragazza, famiglia borghese, da un paio d'anni tra i volontari che combattono l'estorsione: "non credevo che queste storie mi riguardassero. Ho cominciato a occuparmene dopo che un imprenditore della provincia di Catania aveva denunciato gli estorsori, rimanendo isolato nella sua città. Addiopizzo ha organizzato la raccolta delle arance del suo agrumeto, per impedire che andassero in malora: ne hanno parlato giornali e tv, anche nelle scuole se n'è discusso, la vicenda mi ha colpita. Ho partecipato a qualche riunione, ho cominciato a capire dalle parole di alcuni magistrati che quella era la mafia, ho conosciuto altri ragazzi, studenti, lavoratori, giovani come me, mi sono resa conto che il racket, la violenza di chi toglie dignità a chi lavora onestamente, si può contrastare anzitutto con l'organizzazione degli onesti cioè la maggioranza della gente". La generosità non oscura il pragmatismo di Chiara. "E' vero, le stime ufficiali sono sconfortanti: fino a qualche anno fa, secondo "SOS imprese", l'80 % dei commercianti catanesi pagava il pizzo, malgrado le campagne, quasi ventennali, di diversi volontari. Subire il racket è diventata un'abitudine, una specie di tassa tra le altre: per non parlare della paura, legittima, normale. In realtà, ed è quello che abbiamo cercato di far capire ai tanti bottegai e professionisti che siamo andati a trovare porta a porta, le cose sono cambiate: c'è una nuova legislazione a tutela dei commercianti, le norme per il risarcimento sono tantissime e funzionano, l'azione di contrasto dello Stato si è fatta molto forte, ci sono stati arresti importanti, non è vero che a dir di no al pizzo si finisce necessariamente nei guai. Un pentito ha detto chiaramente che Cosa Nostra lascia perdere i commercianti che non cedono al primo colpo. ‘A noi quelli che non pagano subito creano più camurrìe, più problemi, che altro', ha affermato, facendo chiaramente intendere che la mafia non vuole complicazioni, denunce, controlli di polizia e punta tutto solo sulla paura. Sono talmente tanti quelli che pagano che se uno si rifiuta, dalle nostre parti, la criminalità organizzata non insiste più di tanto. Basta saperlo e esserne convinti. Non a caso, le forze di polizia e la magistratura non suggeriscono ai commercianti di fare gli eroi, ma di temporeggiare malgrado i toni minacciosi, negando ad esempio di essere i titolari del negozio, e di presentare subito denuncia, senza farsi prendere dal panico".
La conclusione del ragionamento potrebbe riguardarci tutti. "Non so quando la mafia sarà sconfitta: di sicuro so che abbiamo convinto una cinquantina di commercianti a dirle pubblicamente di no. Temevo non si decidesse nessuno: invece adesso so che saranno costantemente e gradualmente più numerosi. Ai taglieggiatori non facciamo paura, pensano che siamo troppo piccoli per loro. Secondo me, invece, questa è la strada giusta: informazione, organizzazione, convinzione. E, naturalmente, senso di responsabilità".
Fonte: Michele Cucuzza - Corriere dell'Umbria